“Prima che l’ingiuria del tempo e l’abbandono degli uomini avessero cancellato il ricordo di una civiltà totalmente votata alla morte, credevo che fosse mio dovere di uomo di scienza ritornare in quelle provincie così impervie”. Così Giuseppe Tucci, uno dei massimi orientalisti del XX secolo, spiega le motivazioni che lo spinsero a organizzare, nell’estate del 1935, una spedizione nelle regioni hymalaiane, un’area allora pressoché ignota agli occidentali.
Il giovane studioso parte alla ricerca di manufatti artistici, di testimonianze letterarie e di una chiave per comprendere la vita spirituale dei grandi santuari tibetani. Il suo interesse incrocia sempre spirito e materia, ma Tucci è anche un ottimo organizzatore, abile nel preparare con cura gli aspetti diplomatici, finanziari e logistici della sua spedizione. Soprattutto eccelle nella comunicazione che si riverbera in uno stile di scrittura immediato, come si può constatare nelle cronache apparse all’epoca su «La Stampa», poi raccolte in un libro pubblicato da Hoepli nel 1937, divenuto nel tempo un classico, e che ora ritorna in edizione anastatica, col suo ricco corredo fotografico e due testi critici di Giuliano Boccali e Alice Crisanti.